KARAMA
Gaza, Dignità Sotto Assedio
di Adriana Zega
Samah e Omar
Qarara, Khan Younis
Quattro baracche sono attaccate l’una all’altra intorno ad un piccolo cortile. Uno sciame di bambini scorrazza in giro. Le teste di due caprette spuntano da un piccolo recinto. In qualche modo l’assemblaggio di un po’ di lamiera, mattoni e tessuti resta in piedi sulla sabbia assumendo la forma di un riparo di fortuna. Quattro famiglie ci vivono da quando hanno perso la loro casa e la loro terra durante Piombo Fuso. La famiglia di Omar è una di queste.
Lo sguardo di Omar si perde nel vuoto mentre racconta la sua storia. Fuma nervosamente. Gli è difficile ricordare quello che è successo durante la guerra e come da allora la sua vita sia cambiata.
Intervista:
“Avevamo una casa con quattro stanze: un salotto, una cucina, un bagno. Era 300 metri dal confine. Vivevamo tutti insieme con il resto della famiglia. Lavoravamo insieme la terra, avevamo quattro dunum, più di cento alberi di ulivo e il nostro pozzo per l’acqua. Producevamo l’olio e mia madre faceva il formaggio. Abbiamo vissuto lì per 38 anni”.
“I primi tre giorni della guerra siamo rimasti in casa. Il terzo giorno gli israeliani hanno bombardato due case. I vicini si sono spaventati e sono scappati. Una delle due case distrutte era della famiglia Abu Shaar, il padre e la madre sono morti in casa. Hanno distrutto molte altre case, per spaventare la gente. Il quarto giorno anche noi ce ne siamo andati”.
“Abbiamo camminato per tre chilometri per raggiungere la scuola dell’UNRWA. Ogni classe della scuola ospitava dieci famiglie. Noi uomini passavamo gran parte del tempo fuori dalle classi, nonostante il freddo. Volevamo lasciare lo spazio alle donne e ai bambini perchè si sentissero più a loro agio. I bombardamenti erano così vicini alla scuola, sembrava che esplodessero su di noi. I bambini piangevano, gridavano, si attaccavano alle mamme. Ci aspettavamo ogni momento di essere colpiti da un missile. Avevamo paura di andare a comprare qualsiasi cosa al supermercato. Due persone sono state uccise perchè avevano un borsa di plastica in mano mentre tornavano da un negozio”.
“Dopo la guerra siamo ritornati. Ho pianto quando ho visto la mia casa. Era completamente rasa al suolo. Non era rimasto niente. Solo la cisterna dell’acqua era ancora in piedi, ma crivellata dai colpi di proiettile. Avevo sperato di ritrovare la casa così come l’avevamo lasciata. C’erano state così tante incursioni prima, ma la nostra casa era sempre rimasta in piedi. Ci eravamo sempre tornati e avevamo ritrovato tutto al suo posto. Delle pietre sono l’unica cosa che abbiamo recuperato. Con quelle abbiamo ricostruito qui una stanza”.
“Abbiamo sei figli. Dopo la guerra i bambini hanno iniziato a fare la pipì a letto e ad avere incubi. Tante volte si sono svegliati gridando. I tre più piccoli dormono attaccati alla madre, hanno bisogno di sentirla vicino a loro. I più grandi hanno paura di andare a scuola. La mattina, quando li preparo mi chiedono: “Spareranno oggi?”. Dalle finestre della classe vedono i carri armati muoversi vicino al confine. Preferirebbero non andare a scuola e rimanere a casa. Anche noi abbiamo paura a mandarceli. Ogni volta che sentiamo degli spari, corriamo giù alla scuola per vedere se è tutto posto”.
“E’ una tragedia. Un tempo non avevo preoccupazioni, avevamo una vita felice. Ogni mercoledì andavamo al mercato per comprare quello che ci serviva. Avevamo abbastanza soldi allora. Ora se i miei figli mi chiedono uno shekel è già troppo. In questo posto d’estate fa troppo caldo e d’inverno troppo freddo. I nostri figli dormono uno sull’altro. E siamo così vicini al confine, senza elettricità ci sentiamo così vulnerabili.”.
“L’occupazione ha distrutto le nostre vite. Ho perso ogni speranza e sono diventato più nervoso. Da dopo la guerra è stato sempre peggio. Non ho mai lanciato una singola pietra, non ho mai lottato contro nessun soldato e nonostante ciò ho perso tutto.
Tutto ciò che vogliamo è una casa. Solo due stanze, una casa con due stanze, e sarei felice. Vorrei solo avere un posto sicuro e pulito per i miei figli. Immagina solo qualcuno che ha tutto: cibo, acqua, vestiti, una casa e in un’ora…ti portano via tutto”.



