KARAMA
Gaza, Dignità Sotto Assedio
di Adriana Zega
Nawal e Ahmed
Qarara, Khan Younis
La loro vita vicino al confine è stata dura. Hanno subito molte incursioni militari e spari ogni giorno. Cercavano comunque di vivere una vita normale.
Vivevano della loro terra e avevano una casa. Fino al giorno in cui è iniziata la guerra e sono dovuti scappare e abbandonare tutto.
Nawal e suo marito ci accolgono nel loro cortile. In casa non c’è spazio per ricevere ospiti. L’albero si è trasformato nella loro cucina, i rami sono gli scaffali. Pentole e piatti spuntano tra le foglie.
Nawal prende delle tazzine dall’albero e si assenta per preparare un tè beduino per noi ospiti.




Intervista:
“La nostra casa è stata distrutta nell’ultima Guerra. L’avevamo costruita nel 1984. Già prima della guerra vivevamo in una situazione pericolosa. Stavamo a meno di 300 metri dalla torre militare della zona cuscinetto. Sparavano ad ogni movimento. Cercavamo di vivere in modo normale, anche se sentivamo spari in continuazione, ogni notte. Gli spari non erano diretti alle persone, ma a volte colpivano le mura di casa. Anche se avevamo paura, non avevamo nessun’altro posto dove andare”.
“Nel 1995 gli israeliani hanno abbattuto tutti i 95 alberi di ulivo della nostra terra. Li abbiamo ripiantati e nel 2003 li hanno rasi al suolo di nuovo. Avevamo tre dunum di terra vicino alla casa e altri quattro dunum vicino al confine. Guadagnavamo abbastanza bene con l’agricoltura, producevamo l’olio e a volte vendevamo le olive".
"Nel 2006 abbiamo subito la terza incursione: hanno livellato di nuovo la nostra terra e quella volta hanno distrutto anche il nostro pozzo. Nello stesso anno mio fratello Abdallah e suo figlio sono stati uccisi dentro la loro casa dagli spari di un carro armato. Mio padre e mia sorella sono rimasti feriti. E poi nel 2008, nell’ultima guerra, ci hanno distrutto la casa. Da allora non possiamo più ritornare alla nostra terra”.
“La guerra è iniziata sabato 27 dicembre 2008, alle 12:15 esatte. Abbiamo lasciato la nostra casa quattro giorni dopo, il 1° gennaio, quando è iniziata l’invasione via terra. Abbiamo visto che tutti lasciavano le proprie case. I carri armati avanzavano e abbiamo sentito che alcuni dei vicini erano stati uccisi. Avevamo paura che accadesse anche a noi e siamo scappati. Abbiamo deciso di prendere gli animali con noi. Noi abbiamo preso nient’altro, solo l’asino con il carretto e le tre pecore. Ma qui non abbiamo spazio per tenerle e le abbiamo dovute vendere”.
“Siamo andati subito a vedere la nostra casa appena abbiamo sentito che la Guerra era finita e che gli israeliani non sparavano più. I giornalisti, l’UNRWA, la polizia e tante persone ci hanno accompagnato. Non era rimasto più niente”.
“Vivere qui è difficile. E’ tutto difficile. Soprattutto in inverno è più dura, fa troppo freddo. Non importa con quanto nylon ricopriamo le pareti, congeliamo lo stesso.
Viviamo qui da più di tre anni, e non sappiamo quanto ci vorrà per migliorare la nostra situazione. L’UNRWA ha cominciato a chiamare le persone per sapere se hanno la terra per ricostruire la casa. Ma noi non abbiamo soldi per comprare della terra”.
“Nella situazione attuale è impossibile tornare dove vivevamo e ricostruire la nostra casa. Se qualcuno ci garantisse che la situazione sarebbe più sicura, sarei pronto a ricostruirla. Questa è la nostra situazione. Siamo stanchi. Non ci piace vivere qui, ma ci siamo per colpa dell’occupazione. Hanno preso la nostra terra, distrutto la nostra casa, i nostri alberi con il bulldozer…tutto questo è successo per colpa dell’occupazione. Chi vorrebbe vivere in una situazione come questa? Non è umano vivere così. Questa è l’occupazione”.