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KARAMA

Gaza, Dignità Sotto Assedio



di Adriana Zega

​​Adala e Omar​​
Qarara, Khan Younis

Prima della guerra vivevano al limite della zona cuscinetto, a  300 metri dal confine con Israele. La loro casa è stata distrutta durante l’operazione Piombo Fuso. Da allora hanno perso tutto e sanno che non potranno più ritornare alla loro terra.
Mentre raccontano la loro storia, un caccia F16 irrompe nel cielo, sentiamo il suo boato sopra le nostre teste. Sono dieci in famiglia, ora vivono in una casa grande quanto una stanza. L’hanno costruita con le loro mani dopo la guerra. Nel cortile una tenda fissata sulla sabbia la sera diventa la loro camera da letto. La cosa più difficile è non avere prospettive per il futuro. A Gaza non c’è lavoro e gli aiuti umanitari non sono sufficienti per restituire dignità alla gente.



Intervista:





“Avevamo 8 dunum di terra, ulivi, pecore, uccelli, l’aria fresca. La nostra terra era così bella. Guadagnavamo allevando polli, vendendo le uova degli uccelli. Vivevamo vicino a mio padre e alla famiglia di mio fratello. Lavoravamo insieme come un’unica famiglia. Eravamo felici. Allora sì che vivevamo! La nostra casa è stata distrutta durante la guerra. Siamo finiti qui subito dopo. Ora viviamo a 1,3 km dal confine. Oltre la strada principale l’intera area è stata distrutta”.



“Siamo abituati a vivere nella paura, perchè vivevamo così vicini al confine. Gli israeliani mi hanno arrestato sette volte durante le loro incursioni. Una volta un soldato mi ha dato un calcio così forte con il suo scarpone militare che mi ha rotto il piede. Durante le incursioni gli arresti avvenivano sempre. Duravano varie ore. Regolarmente prendevano noi uomini e ci imprigionavano nella base militare al confine. Ogni volta che ci arrestavano ci ordinavano di lasciare le nostre case, ma noi ci siamo sempre rifiutati”.



“Abbiamo lasciato la nostra casa il quarto giorno della guerra. I primi tre giorni gli aerei hanno bombardato sulle città, le stazioni di polizia, i ministeri. Poi dal confine è iniziata l’invasione via terra dei carri armati nelle aree rurali. Alcuni vicini hanno lasciato le loro case quando hanno visto che erano iniziate le attività militari vicino al confine. Abbiamo iniziato ad avere paura. Siamo scappati anche noi con i vicini. Siamo andati diretti alla scuola dell’UNRWA. Le telecomunicazioni erano fuori uso, non potevamo chiamare nessuno. Non abbiamo avuto il tempo di prendere niente da casa”.



“In tutto sei persone della nostra famiglia sono state uccise. Molte persone sono state uccise dai bombardamenti aerei. Uno dei nostri vicini aveva in mano una busta con dei documenti, la carta d’identità, il certificato di proprietà della terra. E’ stato colpito dal missile di un drone. La parte più grande ritrovata del suo corpo era della dimensione di una mano. Quindi quando ce ne siamo andati, non abbiamo portato via niente per paura che potesse succederci la stessa cosa. Tre sorelle sono state colpite da un drone mentre stavano correndo verso la scuola dell’UNRWA. Due sono state uccise sul colpo, la terza è morta dopo. Il loro padre viveva 500 metri da dove siamo adesso. E’ stato ucciso anche lui dall’attacco di un drone mentre stava andando a casa per prendere qualcosa”.



“Siamo ritornati a casa nostra dopo la guerra, per vedere com’erano le cose. Ci hanno sparato. Abbiamo riconosciuto la casa dalle fondamenta. Non era rimasto niente. Era completamente abbattuta. Tutto svanito. Hanno usato bulldozer e carri armati. Gli animali erano mischiati alle macerie e ai resti del serbatoio d’acqua. Neanche uno dei nostri animali è sopravvissuto. Erano tutti morti: tre capre, quattro pecore, trenta polli e anche le colombe. Abbiamo perso tutto. Speravo di rivedere almeno un animale ancora vivo”.



“Prima vivevamo dell’agricoltura, avevamo tutto ciò che ci serviva, ora dipendiamo dagli aiuti umanitari. I palestinesi sono abituati ad aspettare gli aiuti umanitari. Ma questa non è la soluzione. Non abbiamo un lavoro, non possiamo comprare tutto quello che ci serve. Non possiamo neanche permetterci di comprare i quaderni, le penne, le scarpe per i nostri figli. Mi sento triste perchè non posso dare loro quello che mi chiedono e ne hanno bisogno, sono cose necessarie”.



“Un giorno avremo la nostra casa, in cinque o dieci anni o ancora di più, dice l’UNRWA. L’esercito israeliano ha informato la croce rossa che nessuno può ricostruire entro 500 metri dal confine. Quindi non potremo tornare alla nostra terra. Se andassimo in quell’area, ci sparerebbero. Siamo andati dopo la guerra a vedere com’era. Ci hanno sparato”.



“Mi sento triste perchè il passato non c’è più. Mi sento triste pensando al futuro. Non so che cosa succederà, non abbiamo certezze. Io posso vivere in questa tenda, ma i miei figli? Non so come assicurargli un futuro. Non stanno vivendo la loro infanzia, sono pieni di paura. Ora la situazione è davvero difficile: non c’è gas per cucinare, non c’è benzina, non c’è futuro. La gente muore per la tristezza, per la sofferenza psicologica. La condizione psicologica  delle persone è pari a zero”.

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